Consulta
delle società scientifiche
per la riduzione
del rischio cardiovascolare

La valutazione tra cronicità ed emergenze

Mar 2, 2021

Il nobile e indispensabile esercizio della decisione deve essere svolto attraverso una sintesi tra visione e metodo. La cornice (la visione appunto) del contesto di cui stiamo parlando è chiara. Si muove all’interno del postulato del SSN e se è vista come strumento per attuare le garanzie sancite dall’art. 32 della nostra Costituzione, è qui immaginata come un valore. Ma la sola visione non è garanzia di successo. Per disegnare la rotta è indispensabile riuscire a coniugare la spinta della visione con il metodo, ovvero mettere il rigore scientifico al servizio del sistema. Alcune osservazioni ci aiuteranno inquadrare cosa intendiamo per metodo.

Cronicità

La cronicità rappresenta una priorità per il nostro Ministero della Salute. Il Piano Nazionale della Cronicità (PNC), approvato in Conferenza Stato-Regioni il 15 settembre 2016 ne è una prova. Il PNC è nato «dall’esigenza di armonizzare a livello nazionale le attività in questo campo» con l’intento di «promuovere interventi basati sulla unitarietà di approccio, centrato sulla persona, orientato su una migliore organizzazione dei servizi, e una piena responsabilizzazione di tutti gli attori dell’assistenza».

Non è sorprendente che le Regioni italiane abbiano applicato il PNC adottando modelli molto eterogenei. Le differenze non sono solo formali (delibere che formalizzano le scelte in tema di algoritmi per la stratificazione della popolazione in funzione dei bisogni assistenziali, gestione della presa in carico, assegnazione dei cosiddetti Piano di Assistenza Individuale (PAI), messa a punto dei Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali (PDTA), ma anche sostanziali. Si pensi ad esempio, al diverso grado di realizzazione dell’auspicata integrazione tra servizi territoriali e specialistico-ospedalieri o al diverso modo di concepire il rapporto tra pubblico e privato convenzionato. Stiamo entrando in un terreno scivoloso, al quale non ci sottraiamo, ma che vorremmo evitare di trattare sulla base di preconcetti ideologici. Siamo piuttosto affezionati all’idea che il principio sotteso alla scelta che il medico opera nell’esercizio della sua professione del miglior trattamento per quel determinato paziente, scelta guidata dalle migliori evidenze scientifiche disponibili, debba essere sempre adattato al contesto in cui ci stiamo muovendo. Adattato, non applicato in modo meccanico. Anche perché immaginiamo che all’utilizzatore finale delle evidence generate dalla ricerca clinica, si debba affiancare in questo caso il cosiddetto decision-maker, ovvero il titolare delle scelte di sanità pubblica, invitato a mediare tra evidenza scientifica, sostenibilità economica e scelte organizzative.

Una critica fondamentale della Evidence Based Medicine (EBM) è che solo una minoranza di pazienti beneficia di terapie, anche se di dimostrata efficacia, ma tutti i pazienti trattati sono esposti ai costi e ai potenziali danni di tali terapie. Questa semplice osservazione ci fa capire che la metodologia della ricerca clinica dovrebbe adattarsi allo studio di terapie sempre più personalizzate. In tre direzioni principali. Prima, nell’identificazione dei marcatori biologici e sociali predittivi dell’azione terapeutica. La medicina di precisione (basata su terapie personalizzate e su target biomolecolari) e le cure personalizzate (funzionali al contesto clinico, sociale ed economico in cui vengono erogate) necessitano di basi conoscitive più ampie rispetto a quelle che si possono ottenere/realizzare attraverso i trial clinici.

Seconda, la constatazione che la stessa strategia terapeutica genera esiti clinici diversi a seconda del contesto economico, sociale, organizzativo nella quale è implementata. Ciò sottolinea che una nuova frontiera della ricerca in questo campo riguarda la nostra capacità di coniugare scienze cliniche (i determinanti individuali del successo del trattamento), con le cosiddette scienze dell’implementazione in cui i fattori organizzativi (ad esempio esperienza, competenze, integrazione tra i servizi) rappresentano essi stessi potenziali determinanti dell’esito clinico.

Infine, terzo, il beneficio terapeutico deve essere bilanciato e valutato in base alla sostenibilità economica. Il paradigma del value based healthcare (VBH) sta piano piano sostituendo quello dell’EBM. Il concetto di value di una terapia è semplice: una terapia ha tanto più valore quanto più è efficace e quanto meno costa. Questo vuol dire che il VBH non sostituisce il paradigma dell’EBM, banalmente lo completa. E lo completa anche prendendo in debita considerazione le esigenze della nuova frontiera della ricerca clinica.

Emergenza

A prima vista le considerazioni ora accennate sulla cronicità dovrebbero essere considerate indipendenti dall’epidemia sostenuta da SARS-CoV-2, e i problemi ora discussi passare in secondo piano rispetto a quelli che dovremmo affrontare per superare lo shock emergenziale. Ma non è così, per numerose ragioni.

Innanzitutto malattie croniche ed emergenza sostenuta da SARS-CoV-2 sono fortemente correlate per almeno tre motivi. In primo luogo, rispetto ad altri individui, i pazienti con malattie croniche sono a maggior rischio di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 e di sviluppare forme gravi di malattia di CoViD-19. In secondo luogo, le limitazioni imposte durante la prima fase emergenziale hanno ridotto l’accesso ai cosiddetti LEA soprattutto per i pazienti affetti da malattie / condizioni croniche, ma le conseguenti implicazioni cliniche non sono note. Infine, l’epidemia di CoViD-19 ha generato nuovi pazienti cronici, visto che molti pazienti dimessi con diagnosi di CoViD-19, soprattutto se sottoposti a intubazione durante il ricovero indice, mantengono gravi deficit funzionali e sviluppano disturbi cognitivi e problemi psichiatrici.

Inoltre, la diffusione epidemica è fortemente condizionata dagli aspetti organizzativi del sistema sanitario in cui si è abbattuta. Ad esempio, la diffusione epidemica, l’eccessivo carico di malati CoViD-19 sulle terapie intensive, e il drammatico l’eccesso di mortalità rispetto all’atteso ha colpito particolarmente le Regioni in cui l’integrazione tra medicina specialistica ospedaliera e medicina di base territoriale ha trovato più difficoltà di realizzazione. In altri termini, l’organizzazione del sistema sanitario nel suo complesso, il funzionamento dei singoli servizi e la loro integrazione funzionale alla risposta dei bisogni dei cittadini, sono condizioni necessarie, anche se non sufficienti per mettere l’intero sistema nelle condizioni di affrontare adeguatamente sia la gestione del paziente cronico che lo shock emergenziale di fenomeni epidemici.

Valutazione

La pandemia da SARS-CoV-2 ha messo in evidenza la difficoltà di effettuare scelte in un contesto di grande incertezza e poche conoscenze. Ci piace citare John Locke (…siamo costretti a scegliere non nel chiaro meriggio della certezza, ma nel crepuscolo delle probabilità) per stressare quanto in generale (non solo durante il recente shock epidemico) l’incertezza governi il processo decisionale. E allora a cosa serve il rigore scientifico se tutto è aleatorio? Ad evitare di percorrere sentieri pericolosi, basati su opinioni personali, nel più nobile dei casi sulla convinzione che la lucida visione sia sufficiente per governare il sistema.

Rispetto alla gestione della cronicità, ciò che dobbiamo valutare nel contesto in cui ci stiamo muovendo non sono solo i singoli presidi terapeutici, ma l’intero percorso diagnostico-terapeutico assistenziale che ogni singolo paziente sperimenta. La messa a punto di un PDTA, tuttavia, è basata su deboli livelli di prova, solo eccezionalmente è sostenuta da trial clinici, spesso neanche da studi osservazionali, quasi sempre dall’esperienza/opinione di esperti autorevoli. Poiché non è realistico immaginare PDTA sostenuti (in accordo al sistema GRADE) da livelli di prova I (prove ottenute da più studi clinici controllati randomizzati e/o da revisioni sistematiche di studi randomizzati) e forza delle raccomandazioni A (l’esecuzione di quella particolare procedura è fortemente raccomandata), abbiamo un solo modo per verificare con un approccio razionale ciò che facciamo. Dobbiamo mettere a punto un metodo che supporti il decisore nelle scelte e lo aiuti a mettere a sistema un processo capace di monitorare e valutare i processi di erogazione delle cure e dei sistemi organizzativi che li sostengono. In altri termini auspichiamo che il sistema venga messo nelle condizioni di misurare se sta procedendo nella direzione disegnata (monitoraggio). Ma abbiamo anche bisogno di misurare gli esiti generati dai percorsi sperimentati dai pazienti, di identificare le caratteristiche dei singoli erogatori, e l’integrazione tra gli stessi, per ottimizzare sicurezza, efficacia e costi e di sperimentare sistemi di rimborso dei percorsi assistenziali che prescindano dalle singole prestazioni. In sintesi, abbiamo bisogno di mettere a sistema un processo di valutazione che, basandosi sull’esperienza passata dei pazienti in termini di cure ricevute ed esiti, sia in grado di produrre evidenze “credibili” sul modo migliore per trattare i pazienti nel futuro. Per andare in questa direzione non servono soluzioni sofisticate, è semplicemente necessario disporre di dati tratti dal mondo reale e di metodi robusti in grado di estrarne in contenuto informativo.

La stratificazione della popolazione per individuare chi è a maggior rischio di contagio da SARS-CoV-2 e di sviluppare manifestazioni cliniche severe dello stesso, la pianificazione degli interventi per garantire il ripristino dei LEA ai pazienti affetti da malattie croniche drammaticamente ridotti durante lo shock epidemico, l’armonizzazione degli interventi di monitoraggio dei pazienti dimessi per Covid, sono alcuni dei problemi che il decisore si trova ad affrontare per la gestione dell’emergenza sanitaria. I singoli operatori lo stanno facendo (in generale) con lucida intelligenza, grande impegno e molta professionalità. Ciò che manca è l’organico tentativo di rispondere alla domanda: “è utile, sicuro e sostenibile quello che sto facendo? in quali direzioni e con quale approccio il progetto complessivo può migliorare?” A queste domande la comunità scientifica sarebbe chiamata a rispondere se tra scelta e metodo ci fosse un sussidiario rapporto armonioso.

Considerazioni/proposte

Tre ultime considerazioni/proposte sono utili per completare la posizione della consulta in tema di valutazione.

Prima, uno dei nodi emersi dall’attuale emergenza è che le soluzioni a molti dei difficili problemi che la sanità pubblica deve affrontare richiedono l’accesso a dati di buona qualità. L’Italia ha alcuni dei dati sanitari più ricchi di qualsiasi parte del mondo. Tale disponibilità, combinata con eccellenti competenze di ricerca ed eccezionali talenti afferenti al SSN, alle Università e ad altri enti di ricerca, oltre che alle Società Scientifiche, mette il nostro Paese nelle condizioni di poter promuovere e governare l’innovazione biomedica e migliorare la salute dei cittadini attraverso un uso dei dati che sia nel contempo accettabile sul piano normativo e solido su quello scientifico. Ad esempio, tradizionalmente, la scelta delle cure e dei percorsi terapeutici la cui efficacia, sicurezza e sostenibilità sia supportata dalle migliori prove disponibili. Ma l’attuale emergenza ha anche messo in luce l’enorme bisogno di dati solidi e di ottime capacità analitiche per prevedere tempestivamente fenomeni che subiscono cambiamenti improvvisi, per monitorare l’andamento nel tempo della diffusione epidemica e delle sue manifestazioni cliniche più severe e prevederne l’andamento, per valutare come il sistema sanitario reagisce all’enorme pressione della domanda, per valutare tipo, entità e impatto delle cure erogate dai vari livelli con cui il sistema si articola. Le potenzialità legate ad un uso sicuro, rigoroso e tempestivo dei dati sono quindi enormi. Raramente tuttavia una singola organizzazione possiede tutte le competenze necessarie per affrontare ogni problema. Date queste premesse, si rende opportuno immaginare la promozione di un’alleanza tra enti governativi, istituzioni del SSN, Università e Società Scientifiche, finalizzata all’uso dei dati mediante un approccio etico, rispettoso delle norme per la tutela della privacy e attento alle buone pratiche della ricerca in questo settore, ma che sia tempestivo ed altamente efficace ed efficiente.

Seconda, è necessario investire nella formazione in modo duplice: nella formazione dei ricercatori e nel sostegno delle loro attività. Questi ricercatori dovrebbero trovare preciso e specifico impiego come figure professionali “competenti” nei processi organizzativi e nella formazione degli operatori di sanità pubblica prendendo parte ai curricula formativi e ad attività di “riqualificazione specifica” degli operatori del SSN. Partendo dalle carenze evidenziate dall’emergenza sanitaria, le Istituzioni dovrebbero insieme alla comunità scientifica:

  1. promuovere una revisione delle strategie di programmazione e investimento nell’ambito della formazione sia dei ricercatori che degli operatori sanitari,
  2. predisporre programmi per il sostegno e lo sviluppo della ricerca nell’ambito della sanità pubblica e della metodologia della ricerca valorizzando nei diversi percorsi formativi curriculari e post-curriculari la formazione alla cura e gestione della cronicità sia in termini clinici che organizzativi.
  3. ultimo punto, chi valuta il sistema? Per quanto bizzarro, l’atteggiamento che porta intere categorie e organizzazioni a rivendicare il “diritto” a dettare regole e metodi per la valutazione del loro operato, è diffuso. La cultura scientifico-valutativa della valutazione da parte di organismi “terzi” meriterebbe maggiore attenzione nel nostro paese. La valutazione non è un esercizio di democrazia rappresentativa, dove vince (e detta le regole) chi ha più consenso. La valutazione vince (serve) se è in grado di cogliere in cosa dobbiamo cambiare per migliorare. Per andare in questa direzione occorre pensare a un organismo di valutazione in grado di garantire rigore e terzietà.

Giovanni Corrao Coordinatore
Enrico Agabiti Rosei
Guido Arpaia
Riccardo Candido
Gianfranco Gensini

Michele Stornello