di Giovanni Corrao
Ordinario Statistica Medica dell’Università degli Studi Milano-Bicocca
Direttore Centro Interateneo Healthcare Research & Pharmacoepidemiology
Le sfide che la sanità pubblica deve affrontare sono legate all’invecchiamento della popolazione e all’innovazione terapeutica. Da notare che ambedue le sfide sono conseguenza dei successi della medicina. Se invecchiamo è perché moriamo meno. Se sono disponibili nuove terapie è perché la ricerca di base sta dando un importante contributo al miglioramento delle nostre conoscenze sui meccanismi delle malattie e sui modi per contrastarle.
D’altro canto ambedue le sfide stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza stessa del nostro Servizio sanitario nazionale (Ssn) che fa sempre più fatica ad attuare i principi cardine su cui si basa: le prestazioni devono essere estese a tutti (universalità), senza distinzioni di nessun tipo e natura (uguaglianza), e con parità di accesso in rapporto a uguali bisogni di salute (equità).
L’invecchiamento della popolazione direttamente genera un crescente carico di cronicità. Moriamo meno, ma dobbiamo farci carico di un sempre maggior numero di persone la cui sopravvivenza, e la cui qualità della vita, dipende dalla qualità delle cure. Anche l’innovazione terapeutica, d’altro canto, comporta oneri in preoccupante ascesa. Con oltre 7,000 farmaci in sviluppo, la nuova ondata di innovazione medica comporta speranze per i pazienti, preoccupazioni sulla sostenibilità per sistemi sanitari. In generale, questi ultimi, e il nostro SSN non è certamente un’eccezione, sono organizzati per far fronte a episodi acuti e non attrezzati per una presa in carico del paziente a lungo termine. L’invecchiamento della popolazione e la cronicizzazione di malattie fino a pochi anni fa caratterizzate da breve sopravvivenza (ad esempio molti tumori), sono dunque i capisaldi delle sfide.
Il quadro concettuale
Il governo della cronicità e dell’innovazione terapeutica sono gli esempi più eclatanti che giustificano il profondo cambiamento del paradigma sotteso al nostro modo di affrontare le sfide in sanità. La cosiddetta medicina basata sulle prove di efficacia (Evidence-Based Medicine) ha pesantemente condizionato dagli anni ’90 in poi le decisioni del medico, ed è basata sull’integrazione tra la sua esperienza clinica, il parere informato del paziente e le più solide prove accumulate dalla ricerca clinica. Oggi abbiamo altri punti di riferimento che dovrebbero integrarsi con quelli attuali. La ricerca clinica innanzitutto deve essere ripensata. Non ci basta più sapere come “in media” i pazienti reagiscono alla terapia, ma quali pazienti hanno più probabilità di rispondere alle terapie. Il processo di cura deve essere innanzitutto personalizzato, ovvero adattato alle peculiari caratteristiche del paziente e del contesto socio-economico-assistenziale nel quale le cure stesse vengono erogate. La presa in carico del paziente, la predisposizione di un piano individualizzato che affronti i suoi peculiari bisogni assistenziali, l’indirizzo del paziente ai servizi che maggiormente possono rispondere a tali bisogni, sono i capisaldi del Piano nazionale della cronicità (Pnc). D’altro canto, la cosiddetta medicina di precisione (basata sulla individuazione dei target biomolecolari delle nuove terapie) è anch’essa funzionale all’individualizzazione delle cure. Infine, un altro non prescindibile punto di riferimento è la sostenibilità economica delle singole cure e organizzativa del sistema nel suo complesso. Tutto questo spiega perché al paradigma della cosiddetta medicina basata sulle evidenze. si stia sostituendo quello della sanità basata sul valore (Value-Based Healthcare) imperniata sui principi della massimizzazione dei benefici (attraverso cure personalizzate e medicina di precisione) e della minimizzazione dei costi a carico del Ssn.
Risposte “istituzionali”
Il governo della cronicità e dell’innovazione terapeutica rispondono a questo cambiamento di paradigma. Il governo della cronicità è un tema centrale per le politiche sanitarie del nostro Paese. Il Pnc, approvato nel 2016, ne è un chiaro esempio. Il fine è di armonizzare a livello nazionale le attività in questo campo con un disegno strategico comune inteso a promuovere interventi basati sulla unitarietà di approccio, centrato sulla persona ed orientato su una migliore organizzazione dei servizi e una piena responsabilizzazione di tutti gli attori dell’assistenza. Una cabina di regia nazionale istituita nel 2017, e il recepimento con specifica delibera del Pnc da parte di quasi tutte le Regioni e provincie autonome (ad eccezione di 5 di esse) testimoniano se non altro una grande attenzione “politica” al governo della cronicità.
Il governo dell’innovazione terapeutica è meno lineare. Da una parte infatti è ormai consolidato lo sforzo delle agenzie regolatorie nell’adottare procedure accelerate dell’iter approvativo dei farmaci e dei dispositivi medici, in particolare di quelli considerati innovativi, oggi consente un più rapido accesso alle nuove terapie. Dall’altra, tuttavia, l’impatto di molte terapie “innovative” è preoccupante. Essendo approvate in carenza di evidenze mature sulla loro efficacia e sicurezza, ed essendo inoltre indirizzate a specifici target biomolecolari non sempre noti, il loro uso nella pratica clinica spesso comporta che dei pazienti trattati pochi ne traggono beneficio, mentre tutti rappresentano un costo per il sistema.
Cosa manca
Il governo della cronicità e dell’innovazione terapeutica richiede non solo dichiarazioni di principio, ma robusti piani di valutazione che ne monitorino l’attuazione e ne misurino l’impatto. In altri termini, è quanto mai opportuno che le politiche di attuazione del Pnc vengano monitorate e valutate. Domande del tipo: quanti pazienti affetti da malattie croniche sono stati presi in carico? con quali caratteristiche? questi pazienti hanno maggior aderenza alle raccomandazioni basate sulle linee guida (ad esempio continuità terapeutica) rispetto a quelli non presi in carico? quanto questi pazienti beneficiano dello sforzo organizzativo sostenuto dal Ssn per prenderli in carico efficacia dell’azione)? come si modificano i costi che il Ssn deve sostenere con la presa in carico dei pazienti? In considerazione del fatto che le politiche regionali per l’attuazione del Pnc sono fortemente eterogenee (in termini di definizione di cronicità e di interventi erogati), siamo di fronte a un enorme esperimento naturale che, se opportunamente osservato consentirebbe di acquisire preziose informazioni su come procedere per migliorare la qualità dell’assistenza. Inoltre, l’approvazione accelerata di farmaci innovativi quando le conoscenze sulla loro efficacia e sicurezza non è ancora sufficientemente matura, anch’essa impone un attento monitoraggio dell’uso e un’attenta valutazione dell’impatto di tali cure.
Questo è un campo delicato e problematico per il nostro Paese. Siamo cronicamente restii ad accettare che la valutazione debba essere parte integrante del processo di attuazione. Forse perché più propensi a intravedere nel processo uno strumento di controllo, che ad apprezzarne la finalità rivolte al miglioramento continuo della qualità, individuando e correggendo le criticità del sistema e verificando gli effetti delle azioni correttive.
Tutt’al più, si stanno diffondendo sempre più iniziative di messa a punto di indicatori (di processo, esito, dell’organizzazione…, ecc…). Con il risultato che siamo spesso in presenza di molti “modi” di misurare lo stesso fenomeno, non sempre sufficientemente descritti, che quasi mai consentono la confrontabilità tra territori, e con cut-off sistematicamente basati su (nobili) opinioni e scelte arbitrarie. Forse un tentativo istituzionalmente autorevole di armonizzazione andrebbe fatto. Accanto agli indicatori, inoltre, l’ottica
L’intento valutativo, inoltre, non può esaurirsi con la messa a punto degli indicatori. Alla base, è necessario attrezzarsi con robusti piani valutazione che tuttavia necessitano il rispetto di alcune condizioni, tutte necessarie, nessuna di per sé sufficiente.
Primo, la disponibilità di dati di buona qualità. L’Italia si caratterizza per un enorme disponibilità di dati elettronici secondari (spesso di ottima qualità). Si pensi ad esempio, alla concreta possibilità che le cosiddette Banche dati amministrative (BDA) offrono di tracciare quanto e come i servizi vengono utilizzati dai cittadini, e le prestazioni prescritte dai medici, di valutare l’impatto delle terapie, e dell’intero percorso diagnostico, terapeutico ed assistenziale, sulla prevenzione degli esiti che le terapie stesse dovrebbero evitare e di documentare la sostenibilità economica degli interventi medici. Ma si pensi anche alla teorica interconnettibilità tra Bda e dati strutturati (ad esempio, censimento della popolazione, surveys campionarie, registri di malattia e di farmaci) e non strutturati (ad esempio, immagini radiologiche, dati genetici e biomolecolari, testi), in modo da rendere disponibile piattaforme di ricerca in grado di grandi potenzialità. Sebbene tale disponibilità abbia il potenziale per migliorare la nostra comprensione della qualità e dei risultati delle prestazioni mediche e degli interventi sanitari, l’eterogenea interpretazione delle norme di accesso, fortemente limita la ricerca traslazionale nel nostro paese penalizzando le enormi opportunità derivanti da un corretto e omogeneo utilizzo dei dati.
Secondo, la credibilità delle evidenze generate dall’analisi dei dati secondari. I dati non bastano per generare evidenze, queste ultime necessitano di un robusto protocollo che chiarisca la domanda / il quesito al quale si sta cercando di rispondere e definisca nel dettaglio come lo studio intende rispondere alla domanda (criteri di elegibilità / esclusione, l’esposizione in studio, gli esiti di interesse, le altre caratteristiche in gioco, le fonti dei dati e la loro copertura e qualità, il piano di analisi statistica e le tecniche per superare le fonti di vulnerabilità dei risultati). L’assenza di regole condivise (non è chiaro se e chi deve esprimere pareri vincolanti sui protocolli) favorisce la ricerca di bassa qualità e giustifica la scarsa diffusione del sano principio in base al quale le decisioni dovrebbero essere supportate da solide evidenze.
I niziative accademiche in atto
L’Italia ha alcuni dei dati sanitari più ricchi di qualsiasi parte del mondo. Con il Ssn è possibile raccogliere dati sanitari su una popolazione ampia e diversificata e apportare miglioramenti su scala nazionale alla salute e alle cure. Combinato con competenze di ricerca uniche, talento eccezionale nel Ssn e nelle Università e altri enti di ricerca, l’Italia ha un’opportunità senza precedenti di utilizzare i dati su larga scala per promuovere l’innovazione, e migliorare la salute a lungo termine dei cittadini. Ciononostante la cultura del monitoraggio e della valutazione della qualità delle cure mediche nel mondo reale della pratica clinica corrente è un processo appena avviato nel nostro paese, e che tale cultura necessiti di essere alimentata e sostenuta ad ogni livello.
Partendo da tale assunto, numerose iniziative ambedue promosse e coordinate dall’Università di Milano-Bicocca, sono state sviluppate negli ultimi 5-6 anni. La prima è l’istituzione del Centro di ricerca interateneo denominato Healthcare Research & Pharmacoepidemiology, una rete di 25 Atenei italiani che, attraverso lo strumento dell’accordo di collaborazione scientifica / convenzione con istituzioni pubbliche (ad esempio Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Agenzia del Farmaco, Direzioni/Assessorati regionali, Centro Nazionale delle Ricerche, ecc…) realizza specifici programmi collaborativi interdisciplinari. La seconda iniziativa riguarda l’istituenda Associazione tra 27 Atenei denominata Advanced School of Public Health, Epidemiology and Biostatistics (SPES). Essa, rappresenta la risposta accademica all’esigenza del sistema della Sanità Pubblica di adeguarsi al cambiamento strutturale della popolazione e al progresso scientifico e tecnologico. Gli Atenei, con l’istituzione di SPES, intendono mettere in rete risorse e competenze che assicurino a studenti dei corsi post-laurea (scuole di specializzazione, dottorati di ricerca, master di secondo livello) occasioni di integrazione ed approfondimento della loro formazione che trattino i temi emergenti della sanità pubblica e mettano i futuri dirigenti del sistema sanitario nelle condizioni di affrontare le sfide che si stanno delineando.
Proposta
Con lo scopo di:
- realizzare una camera di compensazione per la diffusione delle migliori pratiche nella gestione dei dati sanitari in Italia – incluse le banche dati del Ssn, i dati genomici e molecolari, i dati socio-economici, i cosiddetti patient-centered outcome, e altri ancora – consentendone un accesso più rapido ed efficiente per la ricerca innovativa su larga scala,
- unire le competenze e facilitare il partenariato tra le organizzazioni del Ssn, altri produttori di dati sanitari, enti di ricerca, associazioni dei pazienti e altre parti interessate a favorire la ricerca finalizzata alla generazione di evidenze scientificamente solide di supporto al governo clinico della sanità pubblica, mediante un approccio etico, rispettoso delle norme per la tutela della privacy e attento alle buone pratiche della ricerca in questo settore, viene proposta l’istituzione di Arca (Alleanza per la ricerca con dati sanitari in Italia), un gruppo di lavoro inter-agenzia, promosso dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Istituto Nazionale di Statistica, con il contributo di altre agenzie governative (Agenzia Italiana del Farmaco, Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della Povertà, Conferenza Stato Regioni, Garante per la Protezione dei Dati Personali e Ministero dell’Innovazione Tecnologica e la Trasformazione Digitale), Accademia, Società Scientifiche e Associazioni dei Pazienti.
Arca si ispira principalmente al modello della Health Data Research Alliance del Regno Unito, riconoscendone il ruolo anticipatore nell’attuazione del principio in base al quale riunendo le opportune organizzazioni, con la giusta esperienza, è possibile promuovere adeguatamente la salute e l’accesso alle cure in modo sostenibile.