L’“equivalenza terapeutica” viene proposta come un possibile strumento per semplificare l’insieme dei farmaci a disposizione per ogni determinata patologia, rendere più facili e rapide le decisioni del medico e per ottimizzare i costi della Sanità.
In realtà stabilire l’equivalenza terapeutica tra farmaci richiede confronti di estrema complessità perché l’equivalenza deve riferirsi ad un numero assai elevato (e crescente) di caratteristiche farmacologiche e cliniche sulla base di solide evidenze scientifiche. Se ciò è vero nel caso delle singole terapie, l’analisi diventa ancor più complessa e articolata quando si debbano prendere in considerazione le interazioni tra farmaci e il loro uso combinato. (vedi Schema in ultima pagina).
Se non fosse adottato un rigoroso approccio clinico-scientifico per inadeguatezza delle procedure prescelte o per mancanza di dati adeguati, -la possibile limitazione di scelta fra vari farmaci disponibili sulla base di una inappropriata equivalenza terapeutica- potrebbe esitare in conseguenze negative per il paziente, perché la pluralità di opzioni terapeutiche consente di individualizzare la terapia ottimale per singoli individui nell’ambito del percorso che la Sanità ha intrapreso verso una medicina di precisione. Ciò è vero per la quasi totalità delle terapie.
Le terapie per la prevenzione cardiovascolare (primaria o secondaria) – che riguardano patologie responsabili del più elevato numero di eventi letali e non letali, grazie al controllo di fattori di rischio di larghissima diffusione quali l’ipertensione, il diabete, le dislipidemie e l’obesità – non fanno eccezione.
Proprio con riferimento ai farmaci per la prevenzione cardiovascolare la Consulta-SCV vuole offrire alcune riflessioni relativamente alla definizione della equivalenza terapeutica considerando prima farmaci con uno stesso obiettivo terapeutico ma con meccanismi d’azione diversi e poi farmaci di una stessa classe con meccanismi d’azione simili.
Classi di farmaci con meccanismi d’azione diversi
La molteplicità dei fattori di rischio e i molteplici meccanismi patogenetici che li sostengono, giustificano di per sé la necessità di farmaci con diverso meccanismo d’azione, seppure con uno stesso fine terapeutico. Pertanto, non si vede come si possa ridurre lo spettro dei farmaci per il trattamento dei fattori di rischio senza pregiudicare la possibilità di trattare in modo efficace la grande maggioranza dei pazienti che ne sono portatori.
Nel caso dell’ipertensione, per esempio, le diverse classi di farmaci disponibili e consigliate dalle linee-guida (diuretici, beta-bloccanti, ACE inibitori, calcioantagonisti e sartani) riducono la pressione arteriosa mediamente in modo simile; tuttavia ciascuna di queste ottiene una adeguata riduzione in non più del 25% dei pazienti (ed in un numero ancor minore se si considerano le situazioni cliniche più “difficili” ed i target pressori più bassi raccomandati dalle recenti linee-guida internazionali). La sostituzione di un farmaco con un altro con meccanismo d’azione diverso o, meglio ancora, la combinazione di farmaci con meccanismi d’azione complementari, rappresenta spesso il solo mezzo per garantire il successo terapeutico. Il vantaggio di poter impiegare farmaci con meccanismi d’azione diversi è ulteriormente sottolineato dalle diversità: 1) della loro efficacia terapeutica; 2) delle loro controindicazioni; 3) dell’incidenza, intensità e tipologia dei loro effetti collaterali e 4) delle interazioni, più spesso avverse che favorevoli, con altre terapie cardiovascolari (e non): eventualità frequente nei pazienti anziani nei quali comorbilità ed eventi avversi rappresentano più la regola che l’eccezione. Identiche considerazioni possono essere fatte per le diverse classi di farmaci antidiabetici ed ipolipemizzanti attualmente disponibili.
Pertanto, tutti gli elementi sopra esposti vanno presi in considerazione per la personalizzazione della terapia.
Farmaci di una stessa classe terapeutica
Stabilire l’equivalenza terapeutica sembrerebbe a prima vista più semplice per farmaci appartenenti ad una stessa classe e cioè, per definizione, con meccanismo d’azione simile e che appartengono al IV livello della classificazione ATC. In realtà, anche in questo caso le difficoltà interpretative appaiono numerose ed il risultato finale potrebbe limitare in modo significativo il potenziale terapeutico a disposizione del medico e del paziente. E questo, per numerose ragioni. Primo, stabilire con precisione il numero e l’importanza relativa dei meccanismi di azione di un farmaco è materia di continui progressi conoscitivi che possono modificare in modo importante la definizione iniziale del modo di agire di un dato farmaco. Secondo, esistono diversità farmacocinetiche/ farmacodinamiche tra sostanze di una stessa classe con implicazioni cliniche non marginali. A titolo puramente esemplificativo possiamo citare le differenze tra le caratteristiche dei beta-bloccanti appartenenti al quarto livello di classificazione ATC (C07AA: BB-non selettivi o C07AB: BB-selettivi) che includono, all’interno della stessa classe, farmaci con proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche così diverse da tradursi addirittura in indicazioni diverse.
Farmaci di una stessa classe possono inoltre caratterizzarsi per effetti più o meno rapidi e/o duraturi. Si tratta di caratteristiche forse non migliori o peggiori in assoluto, ma diversamente utili in situazioni cliniche differenti e quindi partecipi del potenziale terapeutico globale. Un effetto più duraturo del farmaco può ridurre il numero di compresse giornaliere prescritto al paziente, migliorandone l’aderenza alla terapia che risente positivamente di una semplificazione terapeutica. Il caso dei calcioantagonisti di tipo diidropiridinico è a questo riguardo emblematico. Effetti più brevi, con più somministrazioni giornaliere, sono però indispensabili al controllo pressorio e glicemico in casi specifici, anche in considerazione della possibilità di garantire una maggiore stabilità dei parametri di efficacia, con documentati effetti protettivi. Un esempio calzante è quello dell’insulina anche perché a differenziarne i vari tipi non è, in questo caso, il meccanismo d’azione quanto proprio le caratteristiche farmacocinetiche. E’ il concomitate uso di insuline ad azione lenta e ad azione rapida che permettono di ricostruire un più fisiologico profilo insulinemico nel soggetto con deficit secretivo dell’ormone. All’interno degli stessi tipi di insulina le specifiche caratteristiche di farmacocinetica e farmacodinamica permettono di adeguare il trattamento alle caratteristiche cliniche e agli stili di vita dei singoli soggetti. Un esempio è la diversa efficacia e sicurezza (rischio di ipoglicemia) degli analoghi dell’insulina rispetto alle insuline originarie.Terzo, farmaci con meccanismo d’azione simile ma con una diversa via di eliminazione consentono di trattare con maggior sicurezza pazienti con danno avanzato o insufficienza epatica o renale, condizioni frequenti nei pazienti anziani. Infine, sarebbe difficilmente condivisibile una semplificazione terapeutica che eliminasse “tout-court”, nell’ambito di una stessa classe, un farmaco meno potente rispetto ad un altro più potente.
Il IV livello ATC degli inibitori dell’HMGCoA reduttasi (C10AA, statine) vede molecole caratterizzate da proprietà farmacodinamiche (ad es. la potenza nell’inibire l’enzima) e farmacocinetiche (ad esempio la biodisponibilità o la emivita plasmatica) così diverse che ne indirizza l’utilizzo in categorie di soggetti assai diversi. In alcuni casi un farmaco meno potente risulta meglio tollerabile e quindi preferibile quando l’effetto richiesto per il raggiungimento dell’obiettivo terapeutico non è particolarmente spiccato. Al riguardo è di fondamentale importanza ricordare come la tollerabilità di un farmaco rappresenti un fattore determinante per l’aderenza e la continuità terapeutica che sono strettamente associate al rischio di eventi patologici, identificandosi, in ultima analisi, con il fattore determinante l’efficacia della terapia nella pratica clinica. Una valutazione comparativa della tollerabilità, non limitata a studi clinici, ma ottenuta anche nel contesto della vita reale con criteri metodologici rigorosi, dovrebbe pertanto essere una componente irrinunciabile del paragone tra farmaci. Inoltre, considerato che esiste una relazione inversa tra complessità terapeutica e aderenza alla terapia, il confronto dovrebbe estendersi agli schemi (numero di compresse) attraverso i quali i farmaci garantiscono una copertura terapeutica nelle 24 ore.
Impiego potenziale in diverse condizioni demografiche e cliniche
La ricerca biomedica degli ultimi decenni ha fornito la documentazione che alcuni farmaci, e non altri, sono efficaci in particolari condizioni demografiche o cliniche o nei confronti di alcuni particolari obiettivi terapeutici. A volte il farmaco o i farmaci in questione sono gli unici che hanno affrontato con approccio clinico-sperimentale il problema (lasciando insoluto il quesito se l’effetto favorevole sia una loro specifica prerogativa), ma una volta che il dato sia documentato per un farmaco e non per altri, la medicina basata sull’evidenza impone di considerarlo il farmaco da preferire in presenza di quella particolare situazione o per quel particolare obiettivo. Gli esempi sono, per ogni terapia cardiovascolare, numerosissimi, come dimostra la molteplicità di terapie specifiche per diverse situazioni demografiche e cliniche descritte nelle linee-guida internazionali. È sufficiente al riguardo citare la diversità delle terapie farmacologiche da impiegare in gravidanza o durante l’allattamento, negli anziani (o grandi anziani), nei pazienti reduci da un infarto miocardico o con rischio particolarmente elevato di malattia coronarica o ictus, in individui con ipertensione resistente ed in quelli nei quali l’obiettivo principale sia la protezione renale o la regressione del danno d’organo cardiaco o vascolare. Anche se non si tratta sempre di evidenze riconosciute da una specifica indicazione, ci riferiamo a dati basati su studi considerati come validi dalla comunità scientifico-clinica, che hanno significativamente aumentato le opzioni terapeutiche e reso la terapia personalizzata non chimerica come in passato. Di particolare importanza è sottolineare come la valutazione della quantità e qualità di salute che un farmaco produce possa giovarsi dello sviluppo di un processo valutativo in real world, ad oggi poco utilizzato, che ci aiuterebbe a realizzare processi comparativi più utili al paziente reale. Rinunciare o depotenziare tutto questo significherebbe rinunciare ai frutti del progresso conoscitivo che la ricerca scientifica ci ha fornito.
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REQUISITI FARMACOLOGICI E CLINICI DA SODDISFARE
PER AFFERMARE LA EQUIVALENZA TERAPEUTICA
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- Meccanismi d’azione
- Profilo farmacocinetico
- Assorbimento
- Biodisponibilità
- Emivita
- Legame proteico
- Vie di eliminazione
- Efficacia terapeutica (pressione, profilo lipidico, profilo glicemico, ecc.)
- Entità
- Rapidità
- Durata
- Variabilità entro pazienti
- Effetti clinici derivanti da associazioni con altri principi attivi o altre interazioni clinicamente rilevanti
- Controindicazioni
- Profilo globale di tollerabilità/gravità-frequenza-tipologia degli eventi avversi/tossicità
- Aderenza a/interruzioni della terapia (da valutare anche nel contesto della “vita reale”)
- Modalità di somministrazione
- Vantaggi in specifici gruppi di pazienti (geriatrici/danno-insufficienza renale/insufficienza epatica/gravidanza e allattamento/post-infarto/post-ictus, ecc)
- Protezione nei confronti di eventi specifici (infarto/ictus/nefropatia avanzata/ disfunzione cognitiva e demenza, ecc.)
- Evidenza da trial randomizzati
- Protezione nei confronti di danni d’organo con documentato valore prognostico/clinico (regressione o prevenzione-ritardo di comparsa)