La trombosi è alla base delle tre principali patologie cardiovascolari – l’infarto del miocardio, l’ictus ischemico ed il tromboembolismo venoso (TEV) – che contribuiscono alla totalità del peso delle malattie nel mondo. Una persona su quattro muore a causa di questi tre killer. Tuttavia, mentre l’impatto di infarto e ictus sulla mortalità e disabilità globali è ben riconosciuto e percepito, non lo è altrettanto quello del TEV, che comprende la trombosi venosa profonda (TVP) e l’embolia polmonare (EP). Il Comitato sulla “Giornata Mondiale della Trombosi” dell’International Society of Thrombosis and Haemostasis(ISTH) ha condotto e pubblicato due studi molto importanti: 1) la revisione scientifica più completa sull’incidenza mondiale del TEV mai intrapresa prima (oltre 8.000 lavori revisionati)1e 2) la prima estesa valutazione (condotta in 9 paesi su più di 7.200 individui) sulla consapevolezza del TEV negli individui.2 I risultati di questi studi hanno evidenziato che l’incidenza annuale di TEV nella popolazione varia da 0,75 a 2,69 per 1000 persone, ed aumenta da 2 a 7 per 1000 nella popolazione con età superiore a 70 anni. In particolare, il TEV associato ai ricoveri ospedalieri rappresenta la principale causa di disabilità nei paesi a basso e medio reddito, e la seconda causa più comune nei paesi ad alto reddito, con un impatto quindi maggiore di fattori quali la polmonite nosocomiale, le setticemie da catetere, e superiore agli eventi avversi da farmaci. Nonostante ciò, la conoscenza di questa patologia rimane scarsa e la consapevolezza pubblica del TEV è molto inferiore rispetto ad altre condizioni, come il cancro alla prostata, il cancro al seno e l’AIDS, il cui contributo alla globalità delle malattie è inferiore.
I dati della ricerca suggeriscono che il TEV è spesso prevenibile e strategie di prevenzione basate sull’evidenza possono fermare lo sviluppo di trombi negli individui “a rischio”. È quindi importante identificare e quantificare il rischio individuale (es. alto, moderato, basso) attraverso le caratteristiche personali e la storia familiare. Molti fattori possono contribuire al rischio di TEV: fattori ereditari, immobilità prolungata, traumi o chirurgia, gravidanza, uso di contraccettivi orali, obesità, fumo, cancro, malattie infiammatorie intestinali, storia personale e familiare di pregressi eventi trombotici, etc. Maggiore è il numero di fattori che si sommano in uno stesso individuo, maggiore è il suo rischio di sviluppare una TVP e/o una EP.
Tra i fattori di rischio, le condizioni ereditarie note non sono di per sé una causa di trombosi, a meno che non siano combinate con altri fattori. Il valore di uno screening per identificare tali condizioni e il suo peso nel calcolo del rischio individuale sono materia di ampio dibattito, tutt’ora aperto.
Incidenza e prevalenza della trombofilia e rischio relativo di TEV
La trombofilia ereditaria o acquisita è un’anomalia della coagulazione che aumenta il rischio di sviluppare una trombosi e che si caratterizza per la comparsa di manifestazioni cliniche in età giovanile (< 50 anni) senza apparenti cause e con la tendenza a recidivare. Sia la prevalenza nella popolazione generale che il rischio relativo di TEV variano molto a seconda dell’alterazione trombofilica (tabella 1).3
Tabella 1 – Prevalenza di trombofilia nella popolazione generale e rischio relativo di TEV
Come si evince dalla tabella 1, le alterazioni trombofiliche attualmente diagnosticabili hanno una diversa prevalenza nella popolazione generale. Così, ad esempio, il deficit di antitrombina è stimato pari allo 0,02% e la mutazione del fattore V Leiden intorno al 5%, mentre generalmente il loro peso clinico è inversamente proporzionale alla loro prevalenza, nel senso che le forme più rare presentano un rischio relativo maggiore rispetto a quelle più frequenti.
Ricerca delle alterazioni trombofiliche
Si sottolinea che la ricerca del polimorfismo del gene MTHFR C677T (spesso ricercato nella pratica clinica corrente), indipendentemente dal livello di omocisteina, non ha un impatto sul rischio di TEV e non andrebbe eseguita. Si consiglia pertanto di ricercare solo le seguenti alterazioni trombofiliche, che sono le uniche per il momento supportate da evidenze scientifiche forti.
- Test clinici funzionali intesi a identificare condizioni congenite4
- Antitrombina
- Proteina C
- Proteina S
- Resistenza alla proteina C attivata
- Test clinici funzionali volti a indentificare condizioni acquisite e pertanto da eseguire solo in soggetti che hanno già presentato eventi di TEV o patologie ostetriche ad essi riconducibili
- LAC
- Anticorpi anti cardiolipina
- Anti-beta-2-glicoproteina
- Test genetici
- Mutazione Fattore V Leiden
- Mutazione G20210A della protrombina
- Altre alterazioni trombofiliche/fattori di rischio per eventuali approfondimenti su indicazione da parte di centri specialistici
- Iperomocisteinemia
- Aumento Fattore VIII
- Disfibrinogenemia
Non si raccomanda di eseguire in modo routinario il dosaggio del fattore VIII data la variabilità fisiologica delle sue concentrazioni ematiche. Per il dosaggio dell’omocisteina, non vi è accordo in letteratura sul suo peso quale fattore di rischio trombofilico quando i suoi valori sono aumentati in modo lieve o moderato.
È opportuno sottolineare che la presenza di un’alterazione non determina di per sé un alto rischio di TEV o di recidiva, in quanto il TEV è un fenomeno multifattoriale che è influenzato dall’interazione di fattori genetici e ambientali anche transitori (tabella 2). Pertanto, anche la penetranza di una stessa mutazione trombofilica varia tra soggetto e soggetto e anche nei membri di una stessa famiglia. Il rischio di un primo evento trombotico e delle sue recidive è determinato solo in parte dalla predisposizione genetica del paziente.
Tabella 2 – Fattori di rischio di TEV transitori
- Immobilizzazione persistente
- Patologia neoplastica
- Traumatismo
- Interventi chirurgici
- Gravidanza e puerperio
- Tabagismo
- Obesità
Se l’evento trombotico si è già verificato, lo studio della trombofilia è utile per la gestione della durata della terapia. È opportuno però ricordare che la recidiva di un primo evento trombotico idiopatico è pari al 10% a un anno e al 30% a tre anni. In questi casi, pertanto, lo studio della trombofilia non modifica la scelta della durata della terapia, in quanto le Linee Guida in questi soggetti supportano l’estensione della profilassi secondaria nel lungo termine indipendentemente dalla presenza di una trombofilia ereditaria.
Lo screening trombofilico va eseguito comunque in soggetti con trombosi in età giovanile (< 50 anni) o idiopatica, non per modificare la durata della terapia antitrombotica ma per studiare i famigliari di primo grado, ove la presenza di una trombofilia congenita potrebbe modificare la profilassi primaria in condizioni di basso rischio trombotico.
Metodi raccomandati
- Antitrombina: metodi funzionali
- Proteina C: metodi funzionali cromogenici.
- Proteina S: si possono utilizzare o metodi funzionali coagulativi o metodi immunologici per la misurazione della frazione libera.
In caso di identificazione di ridotto livello, è opportuno ripetere il test a distanza di 1-2 mesi per conferma e al secondo controllo è indispensabile eseguire anche un dosaggio immunologico per quanto riguarda l’antitrombina e la proteina C e il dosaggio immunologico della proteina S totale. Per fare diagnosi di presenza di uno di questi difetti è anche indispensabile escludere che le alterazioni osservate siano associate a situazioni nelle quali i livelli degli inibitori fisiologici possono risultare ridotti (es. epatopatia, terapia con anticoagulati orali o eparina, assunzione di estroprogestinici, gravidanza). Per questa ragione è consigliabile eseguire anche il tempo di protrombina (PT) e il tempo di tromboplastina parziale attivato (aPTT), come indicatori di eventuale alterazione funzionale epatica, carenza di fattori vitamina K dipendenti, ecc. Per fare diagnosi di eredofamiliarità del difetto dimostrato nel probando è indispensabile identificare lo stesso difetto in almeno un altro consanguineo.
- Mutazione Fattore V Leiden: si può eseguire l’analisi genetica direttamente nella fasedi screening o utilizzare come test preliminare il test di resistenza alla proteina C attivata; in quest’ultimo caso l’identificazione di un soggetto resistente deve essere seguita dal test genetico per conferma.
- Mutazione G20210A della protrombina: l’analisi genetica si esegue direttamente nella fase di screening. Si raccomanda di riconfermare la positività per la presenza delle mutazioni suddette su un secondo campione (non necessariamente ottenuto attraverso un nuovo prelievo) per tutti i soggetti etero o omozigoti. Nel caso in cui il test di resistenza alla proteina C attivata e il risultato della mutazione siano concordanti o la mutazione riscontrata sia concordante con quella già dimostrata nella famiglia non è necessario ricontrollare il test genetico.
- Lupus Anticoagulant (LAC): occorre eseguire due test basati su principi differenti (in particolare sono raccomandati un PTT che impieghi silice come attivatore e il DRVVT).
- Anticorpi antifosfolipidi: la misurazione dei livelli degli anticorpi antifosfolipidi si deve limitare al dosaggio degli anticorpi anticardiolipina e anti ß2-glicoproteina I (IgG eIgM), mediante l’impiego di metodi immunologici. In caso di positività del LAC e/o di aumento dei livelli degli anticorpi anticardiolipina e/o anti-ß2-glicoproteina I, i test devono essere ripetuti a distanza di almeno 12 settimane per confermare la diagnosi.
- Iperomocisteinemia: la diagnosi è basata sulla misura della concentrazione plasmatica totale del metabolita mediante cromatografia ad alta pressione o con l’impiego di test immunologici.
- Aumento Fattore VIII: possono essere impiegati sia metodi coagulativi che cromogenici, opportunamente adattati per la misurazione di livelli normali/elevati. Poiché il Fattore VIII è una proteina della fase acuta, nel caso di valori elevati è necessario ricontrollare, per conferma, il risultato a distanza di almeno 12 settimane.
- Disfibrinogenemia: eseguire il dosaggio del fibrinogeno utilizzando il metodo Clauss, nel caso di valori ridotti eseguire il dosaggio immunologico.
Tempi di esecuzione dei test
I test NON vanno di norma eseguiti:
- Durante la fase acuta di un evento trombotico, sia venoso che arterioso
- Durante le terapie anticoagulanti
- In presenza di malattie intercorrenti acute e croniche che possono influenzare i risultati
- Durante il trattamento estroprogestinico (il trattamento deve essere sospeso per almeno un mese prima di eseguire i test)
- In corso di gravidanza (i test vanno eseguiti dopo almeno 2 mesi dal parto).
I test vanno di norma eseguiti:
- A distanza di almeno 3 mesi dall’evento trombotico acuto (venoso o arterioso)
- Dopo definitiva o temporanea sospensione di trattamenti anticoagulanti (da almeno 30 giorni per l’anticoagulazione orale e da almeno 48 ore per il trattamento coneparina/derivati); l’indagine può invece essere eseguita in corso di terapia antiaggregante.
Soggetti nei quali eseguire i test
- Soggetti sintomatici per pregressa patologia trombotica:
- Con uno o più precedenti episodi di tromboembolia venosa idiopatica
- Con uno o più precedenti episodi di tromboembolia venosa dopo stimoli di modesta entità
- Uno o più precedenti episodi di tromboembolia venosa e dimostrata familiarità per tromboembolia venosa
- Con più precedenti episodi di trombosi venose superficiali su vena sana
- Con trombosi venose in sedi non usuali (ad esclusione delle occlusioni venose retiniche); in questi casi si suggerisce anche di escludere le condizioni ematologiche congenite [es. Jak2 (V617F)] o acquisite che possono avere un ruolo causale/favorente
- Con necrosi cutanea indotta da anticoagulanti orali
- Con porpora fulminante neonatale
- In soggetti con patologia arteriosa a comparsa in età inferiore a 55 anni la ricerca delle alterazioni trombofiliche dovrebbe essere limitata alla ricerca del LAC e al dosaggio degli anticorpi antifosfolipidi e dell’omocisteina, mentre può essere più esteso in singoli casi nei quali i risultati possono influenzare la scelta terapeutica
- In soggetti di età inferiore a 55 anni con pregresso ictus e TIA secondario alla presenza di forame ovale pervio
- Donne con pregressa patologia della gravidanza
- Aborti ricorrenti
- Morte endouterina fetale (MEF)
- Pre-eclampsia
- HELLP Syndrome
- Abruptio placentae
- Ritardo di crescita fetale
- Soggetti asintomatici
La ricerca delle alterazioni trombofiliche non viene di norma eseguita nel soggetto asintomatico, anche nei casi in cui debba essere esposto a manovre o interventi potenzialmente a rischio trombotico. Pertanto, tale ricerca va limitata ai seguenti soggetti prima dell’esposizione a situazioni a rischio trombotico particolare (es. terapia ormonale e gravidanza):- Storia familiare chiaramente positiva per tromboembolia venosa
- Familiare di 1° grado di un soggetto portatore di alterazione trombofilica congenita accertata
Poiché il rischio nel singolo paziente dipende dal numero dei difetti sia genetici che acquisiti di cui egli è portatore, è importante che l’indagine di laboratorio comprenda tutti i test indicati al punto 1. Non si raccomanda l’esecuzione di queste indagini prima della pubertà.
Medical need clinici
- Il TEV è un disturbo comune associato a morbilità e mortalità significative, tuttavia, nonostante i rilevanti progressi nella comprensione della sua eziologia, la cura dei pazienti con trombosi e trombofilia è spesso incompleta e altamente variabile.
- Dal momento che il TEV è spesso prevenibile e strategie di prevenzione basate sull’evidenza possono fermare lo sviluppo di trombi negli individui “a rischio”, è importante identificare e quantificare il rischio individuale attraverso le caratteristiche personali e la storia familiare.
- Nonostante l’esistenza di linee guida di provata efficacia a supporto della profilassi del TEV, il loro utilizzo e la durata dell’intervento sono subottimali: è necessario migliorare l’aderenza alle linee guida e la fornitura delle cure appropriate ai pazienti a rischio.
Medical need organizzativi
È indispensabile che il personale sanitario competente e responsabile delle attività nel campo delle trombofilie (medici, biologi, tecnici) sia ben addestrato, adeguatamente formato e abbia un’esperienza specifica.
I centri che eseguono indagini per l’identificazione delle alterazioni trombofiliche devono inoltre garantire:
- La determinazione locale dei rangedi riferimento e calibrazione dei plasmi usati per le curve contro uno standard internazionale (se disponibile)
- L’esecuzione di un controllo di qualità interno per almeno due livelli (normale e patologico)
- La costante partecipazione a specifici programmi di valutazione esterna di qualità
- L’esecuzione dei test solo previa raccolta dall’anamnesi del paziente (farmaci, patologie associate, storia personale/familiare di trombosi)
- Il rilascio di un referto corredato da commenti, che garantiscano un’appropriata interpretazione clinica dei risultati di laboratorio.
È inoltre importante che i centri possano fornire un adeguato counseling per informare il paziente, i suoi familiari portatori del difetto (anche asintomatici), il medico di medicina generale e/o lo specialista che ha indirizzato il soggetto all’indagine sui rischi che la condizione di portatore comporta ed invitarli a concordare con il medico del Centro le misure profilattiche adeguate a ridurre il rischio in caso di esposizione ad eventi scatenanti (chirurgia, gravidanza, contraccettivi orali, immobilizzazioni, ecc.). Si sottolinea che il counseling è necessario anche in caso di risultato negativo dello screening, poiché vi è un valore preminente della familiarità clinica, e inoltre il risultato negativo va valutato anche in relazione allo “stato attuale delle conoscenze scientifiche”.
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