Ritengo che il ricorso all’omeopatia e alle medicine alternative, in generale, sia soprattutto una denuncia indiretta nei confronti di una scienza e di una medicina ormai settorializzata, organicistica e molto “asettica”: una medicina che si occupa più dei risultati dei RCT che della persona, in tutte le sue dimensioni. Evidentemente … questa è la medicina che comunichiamo e che la gente intende (… per inciso l’omeopatia è nata probabilmente anche come reazione ai salassi ed alle purghe della medicina ufficiale del tempo).
Se le cose stanno così, nessuna meraviglia quindi che chi ha strumenti culturali più adeguati scelga una via per così dire “eretica” (alternativa ed ecologica), ma sempre collegata al medico (che speriamo ne riconosca i limiti), e che chi ha meno cultura, talora, si rivolga invece ai santi (che non possono certo far male, perché non sono più fra noi) o, peggio, ai santoni o cialtroni che dir si voglia (che possono invece far male e molto, perché vivi).
Aldilà del “similia similibus curantur”, che anche la medicina scientifica (o tradizionale) sfrutta con le vaccinazioni e le terapie desensibilizzanti, penso che la forza della medicina omeopatica stia nel “tempo”: quello che l’omeopata dedica all’ascolto delle persone che a lui si rivolgono. Fa parte infatti della visita dell’omeopata la discussione di aspetti emozionali/personali/ambientali, cosa che dà al “paziente” l’impressione che il terapeuta si faccia carico olisticamente di lui. Per questo la visita dura molto, sicuramente molto di più di una normale visita di un qualsiasi MMG. Qualcuno si è dato la briga di rilevare che il tempo medio in cui il paziente nel corso della visita può parlare senza che intervenga il medico è … di 19 secondi! il tempo medio dedicato al paziente da parte di MMG olandesi è di 9,8 minuti (BMC Family Practice 2008). Certo questo vale anche per la medicina generale italiana che è oberata di burocrazia (più del 30% del lavoro quotidiano) ma probabilmente vale per tutte le branche in cui è organizzata la medicina tradizionale.
L’aderenza alla terapia (anche nel caso del placebo) pare sia correlata alla sopravvivenza addirittura più della terapia stessa, perché potrebbe essere un “marker” di stile di vita globalmente più salutare (BMJ 2006).
L’omeopatia con la proposta di assunzione, in più momenti della giornata, di granuli o gocce o quant’altro, potrebbe anche potenziare l’adesione ad altri “buoni” consigli dati in concomitanza. Si comprende poi come l’omeopatia possa “funzionare” anche nei bambini più piccoli: in quello stadio della vita, con la somministrazione di rimedi omeopatici così frequenti (addirittura dosi ogni 2 ore! …) probabilmente la relazione con i genitori diventa molto più stretta ed è logico e ormai noto come ciò risulti benefico.
In conclusione suggerisco che dall’omeopatia ci si difenda non solo trincerandosi dietro la sua non scientificità, magari vietandola o, come consiglia Garattini, insegnando a scuola la legge di Avogadro; ma soprattutto praticando una medicina che sappia coniugare il rigore scientifico con la comprensione dell’emotività del paziente e, perché no, anche di noi stessi medici.
Giuliano Ermini (SIMG)
ALLEGATO